Capricci, un aiuto dalle neuroscienze
di Giorgia Cozza
Sono tante le situazioni che possono scatenare pianti e crisi di rabbia nei bimbi. Uno strumento efficace per intervenire nel modo migliore è conoscere alcuni meccanismi di funzionamento del loro cervello
Nella vita di ogni giorno con i piccoli, se impariamo a gestire i capricci, tutto diventa più facile. Partendo dalle emozioni del bambino e da quello che oggi, grazie alle neuroscienze, conosciamo sul funzionamento della sua mente, possiamo aiutarlo a superare i momenti di crisi, riducendone l’intensità e la durata. Ecco i consigli degli esperti.
Partiamo dalle emozioni
Il bimbo piange, protesta, si butta per terra e sembra davvero inconsolabile. Ecco una scena che la maggior parte dei genitori si trova ad affrontare – più o meno spesso – e che può mettere in grande difficoltà l’adulto. Cosa fare quando il bambino si lamenta perché non vuole andare a dormire anche se è arrivata l’ora della nanna? O se, al parco giochi, non vuole smettere di giocare quando è il momento di tornare a casa? Sono tante le situazioni che, nei primissimi anni di vita, possono scatenare una vera e propria crisi che mette a dura prova la pazienza del genitore. La soluzione? “Prendere in considerazione le emozioni del bambino e le motivazioni per cui si comporta in un certo modo”, spiega Tancredi Militano, biologo, esperto in neuroscienze ed etologia umana che, insieme a Monica Scirica, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in terapia cognitivo-comportamentale, ha ideato un corso per genitori basato proprio sui principi delle neuroscienze, dell’etologia e della psicologia. “L’apprendimento è il frutto delle connessioni che si stabiliscono a livello cerebrale tra i neuroni: oggi conosciamo i tempi di attivazione delle diverse aree del cervello e, proprio grazie a questa conoscenza, possiamo comprendere le reazioni del bambino e comunicare con lui in modo più corretto ed efficace”.
Non sono capricci
Siamo abituati a definire “capricci” le proteste di un bambino piccolo che vuole a tutti i costi fare o avere qualcosa. Eppure, sarebbe meglio non usare più questo termine. “E soprattutto si dovrebbe fare attenzione a non affibbiare etichette ai bambini, definendoli capricciosi o testardi”, sottolinea il dottor Militano. “Non si devono usare questi aggettivi qualificativi, perché sminuiscono il piccolo, lo disorientano e non corrispondono al vero”. Già, perché un bimbo che non vuole mettere in pratica le direttive del genitore, o che esprime con urla e pianti il suo malcontento, si sta comportando nell’unico modo possibile per la sua età e il suo sviluppo psicoemotivo. “Nei primi anni di vita si attivano e si esprimono i ‘geni della dominanza’ e il bambino è centrato su se stesso: questo lo porta a voler imporre i propri desideri e preferenze”, spiega l’esperto. “Si tratta, quindi, di comportamenti normali: il bimbo non è ‘capriccioso’, è il suo stesso sviluppo che lo porta ad agire così. Il bambino piccolo che cerca di comandare non è un prepotente, ma un cucciolo d’uomo che si esercita per diventare adulto. È chiaro, perciò, che non ha senso criticarlo o pretendere da lui un comportamento diverso. Sarà il genitore a dover gestire la situazione, mettendo in atto strategie che possano aiutarlo, senza giudicarlo”.
Rimproveri sì, ma con le parole giuste
Occorre fare molta attenzione alle parole che si utilizzano, anche quando si rende necessario correggere un comportamento scorretto. “Se il bambino fa qualcosa di sbagliato, è importante che il rimprovero del genitore sia chiaramente riferito al comportamento, e non al bambino stesso”, sottolinea la dottoressa Monica Scirica. “Bisogna mettere in discussione l’azione compiuta dal bimbo, mai la sua identità. Quindi, i suoi comportamenti non devono influire su come noi lo vediamo e su quello che proviamo per lui. Sono le azioni che a volte devono essere corrette, non il nostro bambino”. Questo perché un comportamento può essere sbagliato, un bambino no: non è mai sbagliato, e meno che mai sciocco o cattivo.
Perché è importante non dare etichette
I geni della dominanza, che si attivano nei primissimi anni di vita e spesso mettono in difficoltà i genitori, in realtà sono fondamentali per lo sviluppo della personalità dell’individuo. “La sicurezza in se stessi, la forza di volontà, la determinazione che ammiriamo nell’adulto sono legate all’espressione di questi geni, che si traduce in comportamento”, sottolinea il dottor Militano. “Queste caratteristiche sono fondamentali per il benessere di ognuno di noi perché, una volta cresciuti, ci permettono di dominare le nostre emozioni, le nostre paure, le pulsioni istintuali. Se il bambino si sente dire che è cattivo quando si comporta come gli viene naturale, i sensi di colpa bloccano l’istinto e lo portano a rinunciare a esprimersi. Quando i tentativi di esercitare l’area cerebrale del comando vengono costantemente frustrati, il rischio è di non sviluppare adeguatamente questa funzione, con conseguenze negative a lungo termine. Nell’adulto, questo blocco può portare a difficoltà nella gestione della rabbia, dello stress, dell’ansia”.
Riconoscere e accogliere le emozioni
Chiarito che certi comportamenti del bambino sono normali e legati al suo sviluppo, cosa fare, allora, nella vita quotidiana, quando si rifiuta di ascoltarci e risponde con un “no” perentorio alle nostre richieste? E ancora: come comportarsi quando urla e piange perché non è possibile accontentarlo? “Quando un bambino tenta di attivare i circuiti delle aree neuronali deputate al comando e non ci riesce, in quanto viene bloccato dal genitore o dalla situazione, prova una frustrazione intensa che provoca una grande sofferenza emotiva”, spiega Tancredi Militano. “Da qui, l’esplosione di rabbia che non è in grado di gestire senza l’aiuto di un adulto”.
“Il primo passo del genitore, quando il bambino perde il controllo, deve essere quello di comprendere, accogliere e incanalare le sue emozioni”, spiega Monica Scirica. “Un comportamento caratterizzato da emotività in eccesso generalmente viene interpretato come capriccioso, ma non è così”, sottolineano gli esperti. “Il nostro invito è quello di leggere correttamente l’evento: il bambino sta soffrendo perché non riesce a raggiungere il suo obiettivo ed esprime il disagio attraverso modalità difficili da contenere, come l’insistenza, la rabbia, i tentativi di sopraffazione. Non dobbiamo avere paura di osservare la sua sofferenza e riconoscerla come tale. È importante accogliere il piccolo nella sua fragilità e sottolineare che comprendiamo la sua collera e il suo dispiacere. Anche un contenimento fisico, attraverso l’abbraccio, può essere di aiuto in questi momenti in cui le forti emozioni provate possono spaventarlo molto”.
Un bimbo che urla e piange, soprattutto se ci si trova fuori casa, magari sotto lo sguardo critico di altre persone, mette a dura prova la pazienza del genitore. “Ma l’atteggiamento dell’adulto è fondamentale”, sottolinea la dottoressa Scirica. “Il genitore dovrà mantenere la lucidità e non arrabbiarsi a sua volta”. Se perdiamo la calma, come potremo aiutarlo a ritrovare il controllo? “È importante anche spiegare al bambino che quello che lui prova è ‘normale’”, dice il dottor Militano. “Il genitore potrà raccontargli che anche lui da piccolo non voleva mai fare una determinata cosa, tranquillizzarlo e guidarlo affinché riesca a farla nonostante le difficoltà incontrate”. Sapere che anche mamma e papà non volevano mai andare a letto o interrompere i loro giochi preferiti è molto rassicurante per il bambino: è la prova che lui non è sbagliato, che non ha qualcosa che non va.
Offrire una possibilità di scelta
Dopo aver accolto le emozioni del bambino e, se necessario, averlo aiutato a recuperare la calma, è il momento di risolvere la situazione. Come? “Proponendogli una nuova opzione, funzionale ai bisogni dell’adulto, che eviti l’impatto con il ‘no’ del genitore e gli dia l’impressione di poter esercitare e utilizzare i circuiti neuronali che presiedono alle capacità di comando e di scelta”, spiega il dottor Militano. “Facciamo un esempio comune, quello di un bambino che non vuole andare a dormire. Il genitore non può permettere che resti alzato oltre una certa ora, ma per non imporre la propria volontà in maniera aggressiva, inibendo tout court il bisogno di ‘esercitarsi al comando’ espresso del bimbo, potrà dirgli: ‘Tu non vorresti andare a dormire e ti capisco: effettivamente a volte è più piacevole stare svegli e continuare a giocare. Tuttavia, possiamo prendere in considerazione solo due opzioni: andare a dormire immediatamente oppure andare a dormire tra dieci minuti’. Questa seconda possibilità non cambia di molto la situazione, e quindi non crea problemi al genitore, ma dà al piccolo la sensazione di avere voce in capitolo, esercitandosi così a essere adulto. Viene respinta la richiesta di non andare a dormire, ma allo stesso tempo si offre una possibilità di scelta, che verrà prontamente accolta dal bambino. Se lo desidera, il genitore potrà aggiungere che in quei dieci minuti potranno fare qualcosa che al piccolo piace, come raccontare una fiaba o farsi le coccole. In questo modo si evita la crisi, non si bloccano i neuroni decisionali e si ottiene che il bimbo vada a dormire sereno”.
Un corso per genitori basato sulle neuroscienze
Suggerimenti e strategie da adottare per comunicare al meglio con i propri figli sono oggetto di un corso, intitolato “Genitori Doc”, rivolto a tutti i genitori di bambini da 0 a 12 anni, che prenderà il via in settembre a Milano. “Durante gli incontri verranno illustrati i meccanismi di funzionamento del cervello per aiutare i genitori a relazionarsi in modo positivo ed efficace con i loro bambini, favorendone lo sviluppo emotivo e prevenendo eventuali difficoltà”, spiega il dottor Militano.