Abbiamo intervistato Tancredi Militano, biologo ed esperto di neuroscienze, sul suo nuovo libro “Il linguaggio segreto delle emozioni. La scienza per smettere di soffrire nelle relazioni”. Nella loro chiacchierata, Tancredi ci racconta la sua passione per il cervello umano e per, appunto, le emozioni che guidano quotidianamente le nostre relazioni, la nostra socialità e le nostre scelte. Un argomento che abbraccia ogni aspetto della nostra vita personale e professionale, che richiede un necessario approfondimento in grado di darci sempre più consapevolezza di noi stessi.
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L’intervista a Tancredi Militano sulle nostre emozioni
La storia delle emozioni non è una materia semplice da trovare in una facoltà umanistica. Che ne pensi di ciò?
Mi fa molto piacere che anche in un contesto universitario si tratti l’argomento delle emozioni, perché e proprio alle emozioni che si deve, in fondo, ogni aspetto della vita sia nell’ambito della creatività che dell’ingegno umano che prendono spunto dall’attivarsi emozionale del cervello.
Ogni scoperta, ogni invenzione e tutto il campo della creatività prende il via dal nostro emozionarci per qualcosa. Quindi possiamo dire che ogni cosa che ci riguardi nasca dall’emozione e ci porti all’emozione!
Basti pensare alla passione degli scienziati nell’affrontare il lungo compito, estenuante a volte, della ricerca che, se non fosse sostenuta dall’emozione probabilmente si esaurirebbe. L importanza dell’emozione è facilmente intuibile se si pensa alla letteratura, al cinema e alle arti in generale che non sono altro che il prodotto dell’emozione… E ci emozionano a loro volta.
Quindi tutte le nostre azioni hanno il fine di emozionare ma sono esse stesse guidate dalle emozioni?
Sì, ed è la cosa più grave o più pericolosa quando veniamo pilotati. Quanto alle emozioni, anche le aree del cervello che le controllano, ci fanno passare da un’emozione all’altra, quasi senza una via d’uscita.
Si, i neuroscienziati hanno evidenziato come in realtà veniamo pilotati dalle emozioni molto più di quanto non crediamo e ciò può essere anche pericoloso: le aree del cervello responsabili delle emozioni possono portarci su strade difficili, pericolose e imprevedibili, al di là della nostra volontà cosciente.
Assolutamente vero. Quando è nata la tua passione per questo argomento? Come è iniziata la tua carriera in questo ambito e come sei arrivato a scrivere questo libro?
Da tempo pensavo di scrivere un testo ufficiale sull’argomento emozioni. E l’occasione è arrivata quando una importante casa editrice mi ha contattato offrendomi l’occasione di poter parlare dei miei studi, delle mie ricerche e della mia esperienza.
Ho iniziato ad occuparmi di emozioni un po’ per caso, in verità, in quanto negli anni 90, quando ero ancora uno studente universitario, andava per la maggiore studiare il DNA e la Biologia molecolare quindi gran parte dei finanziamenti che confluivano al Cnr di Pavia, erano riservati alle ricerche sul DNA e sullo studio del genoma umano.
Dopo una serie di peripezie, scelte, cambi di rotta mi ritrovai in un laboratorio dove si studiavano le reti concettuali presenti nel sistema cognitivo, le rappresentazioni mentali della realtà e la capacità del cervello di memorizzare informazioni nuove se associate con le emozioni.
Perciò ti sei ritrovato a studiare proprio la fabbrica delle emozioni?
Sì, proprio l’hardware, non il software ma la base neuro-chimica da cui parte tutto.
Il nostro obiettivo era quello di capire come riuscisse il cervello a memorizzare le informazioni che provenivano dall’esterno.
Grazie a questi studi ci siamo resi conto che le informazioni fornite insieme ed attraverso un’emozione venivano memorizzate in maniera immediata e la memoria permaneva nel tempo. Quando l’informazione veniva fornita senza stimolare l’emotività, il cervello memorizzava con più difficoltà o dimenticava quanto appreso già il giorno successivo.
E dopo questi studi? Quali sono stati i passi della tua carriera?
Poco dopo la laurea, il Senato Accademico ha bandito un concorso, per due cattedre da professore a contratto, che ho avuto la fortuna di vincere così sono diventato professore universitario molto velocemente, anche grazie al fatto di essere stato il primo laureato in questo ambito.
Dopo un periodo di docenza ho lasciato l’Università perché volevo portare avanti delle ricerche autonome che mi coinvolgessero appunto… emotivamente!
Quindi sì, sono state proprio le mie emozioni che mi hanno spinto allo studio del cervello, del suo funzionamento, dei suoi apparenti errori di valutazione della realtà e di comportamento e di come si potessero finanche compiere atti estremi non facilmente comprensibili., come il cervello producesse pensieri talvolta bizzarri e potesse spingere a compiere gesti che potremmo definire disumani, come i casi di cronaca di questi giorni purtroppo ci mostrano!
Tutti questi aspetti, tutte le tue particolari ricerche, hanno proprio preso vita tra le pagine del tuo libro. Ma in questi anni di studi, hai visto dei cambiamenti riguardo il modo di vivere le emozioni? In fondo, anche solo gli ultimi 3 anni, ci hanno cambiato moltissimo.
Diciamo che le emozioni che noi possiamo provare sono sempre “le stesse”: ansia, paura, rabbia, ecc, perché il cervello è programmato per produrre quelle e non altre. Cambiano però i fattori attivanti, cambia la società e gli input che quest’ultima può dare. L’obiettivo del mio libro è quello di insegnare che non è tanto l’evento esterno a far nascere un’emozione (così come erroneamente si crede!) ma l’elaborazione che il cervello attua dopo aver analizzato il dato esterno.
Ci sono alcune aree autonome del cervello preposte proprio all’elaborazione automatica dei dati provenienti dalla realtà, prima di produrre le risposte emotive (a volte inaspettate e amplificate cioè quasi esagerate e troppo intense).
Allora cosa fare? Come possiamo far fronte a questi meccanismi che non siamo in grado di controllare pienamente?
Come spiegato nel libro, bisognerebbe conoscere quali «strumenti di elaborazione della realtà» sono presenti nel nostro cervello e come fare per evitare che essi vengano attivati in modo automatico e disfunzionale, così da scongiurare la maggior parte delle sofferenze emotive.
Familiarizzare con i nostri dispositivi neuronali può aiutarci a mantenere la calma, adottare le strategie migliori, trovare le soluzioni più convenienti e superare le difficoltà che la vita ci presenta.
Quindi, la conoscenza di questi meccanismi, potrebbe essere determinante nelle nostre relazioni, nella socialità e anche nella nostra sopravvivenza?
Certamente! In realtà anche le emozioni cosiddette negative sono utili, se riconosciute e controllate: in fondo sono proprio queste emozioni negative che si scatenano nelle situazioni di pericolo, come ad esempio la paura che attiva la nostra attenzione verso un evento o che ci spinge ad evitarlo, che possono addirittura salvarci la vita.
Basti pensare al mondo animale per comprendere meglio il concetto: la paura suggerisce all’antilope di fuggire per non farsi sbranare così come – nella nostra società – l’ansia allarma il guidatore affinché presti la massima attenzione a ciò che accade intorno a lui, consentendogli di evitare un incidente. Le emozioni negative possono essere campanelli d’allarme efficacissimi e possono guidarci nelle scelte della nostra vita.
Il termine emozione d’altronde affonda le sue radici etimologiche nel concetto di “movimento”: le emozioni servono a guidarci e a spingerci all’azione!
Ma queste emozioni sono anche nocive, a volte, nella nostra quotidianità.
Sì, è vero ma questo accade perché non conosciamo gli strumenti di elaborazione di cui ho parlato prima: a causa di questa mancanza di informazioni ci lasciamo sopraffare dall’ansia o da emozioni simili e siamo vittime di sofferenze emotive molto più frequenti e intense. Nel libro che abbiano citato, insegno ai lettori ad usare proprio questi strumenti così importanti e fornisco le informazioni per comprendere i messaggi nascosti dietro le emozioni per vederle come alleate (anche quelle cosiddette negative) e non come nemiche.
C’è un altro aspetto legato al linguaggio emotivo che condiziona le nostre relazioni. Spesso ci troviamo a dire ad un’altra persona: TU NON MI CAPISCI. Cosa succede in queste situazioni?
Questo aspetto richiederebbe davvero un’altra intervista a parte. Brevemente posso dire che le emozioni soprattutto nell’età infantile hanno bisogno di essere indirizzate; è necessaria una educazione emozionale che aiuti a riconoscere gli stati d animo e le reazioni conseguenti ed è molto importante insegnare a parlare di ciò che si prova, senza tenerlo dentro.
Il rischio è quello di ritrovarsi da adulti in balia di emozioni, di pensieri che sovrastano la nostra volontà cosciente ed influenzano il nostro comportamento e le nostre reali possibilità di vivere una vita serena.
Stella Grillo
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